Piani paesaggistici e piani per i parchi
Proposta per una razionale divisione del
lavoro amministrativo
Luca De Lucia*
1. Il problema
Il presente
scritto ha come oggetto le relazioni problematiche tra la normativa sui piani
paesaggistici di cui al d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, codice dei beni
culturali e del paesaggio, come successivamente modificato[1], e
quella sui piani per il parco di cui alla l. 6 dicembre 1991, n. 394, legge
quadro sulle aree protette; legge questa che, secondo alcune stime, riguarda
circa il 12% del territorio nazionale. È noto, infatti, che il codice dei beni
culturali ha modificato il precedente quadro normativo, stabilendo, tra
l’altro, la prevalenza del piano paesaggistico su quello per il parco[2].
Questo dato è decisivo per comprendere a quali interessi pubblici e, in
conseguenza, a quali attività amministrative (e quindi a quali pubbliche
amministrazioni) il legislatore ha inteso attribuire prevalenza. Tuttavia, l’analisi
dell’argomento, per essere utile ed effettivamente orientata al miglioramento
della qualità dell’azione amministrativa[3], non
può prescindere dall’osservazione di alcune criticità e incoerenze del sistema e
dalla formulazione, in prospettiva de jure condendo, di indicazioni per
il relativo superamento. Infatti, la sovrapposizione non coordinata dei due
corpi normativi (sulla tutela del paesaggio e delle aree naturali protette)
porta con sé potenziali conflitti di competenza tra apparati amministrativi. Più
in generale, è la stessa coesistenza del piano paesaggistico e di quello per il
parco a rappresentare un fattore di complicazione e di inefficienza che dovrebbe
essere corretto.
Nel prosieguo, dopo aver brevemente esaminato le norme sulla pianificazione
delle aree protette e su quella paesaggistica (§ 2), se ne mettono in luce alcuni
elementi di contraddittorietà (§ 3), per formulare proposte che possono portare
a una disciplina più razionale ed efficiente della materia (§ 4).
2. Il dato normativo
2.1. Il piano per il parco: un’utopia istituzionale?[4]
Ai nostri fini è sufficiente richiamare due temi. Da un punto di vista
organizzativo, la legge del 1991
ha affidato a una struttura amministrativa, a prevalente
composizione tecnica[5], il
compito di pianificare e perseguire gli obiettivi di tutela e di confrontarsi –
da un punto di vista tecnico – con le istituzioni locali e regionali. In secondo
luogo, la legge si basa sulla centralità del piano per il parco, concepito come
unico strumento di pianificazione del territorio con finalità generali[6]. Infatti,
l’art. 12, l .
cit. disegna un potere di pianificazione, insieme territoriale e urbanistico,
fondato sulla tecnica dell’azzonamento[7].
Un’eccezione è rappresentata però dal comma 1, lett. e) dell’art. 12 cit. a
mente del quale il piano stesso deve contenere “indirizzi e criteri per gli interventi sulla flora, sulla fauna e
sull'ambiente naturale in genere”; in questo caso, oggetto del piano è
l’ecosistema e la sua tutela. In sostanza, in base all’art. 12, il piano è
composto da due parti concettualmente distinte: la prima consiste nell’insieme
di prescrizioni incidenti direttamente o indirettamente sul territorio e da
questo punto di vista lo strumento non si distingue molto da un piano
paesaggistico. La seconda parte riguarda invece le attività da porre in essere
per assicurare la salvaguardia dell’ecosistema; come è chiaro, a tal fine non
servono prescrizioni incidenti sul territorio, ma prevalentemente l’identificazione
di obiettivi di tutela e programmazione di attività (anche materiali).
In ogni caso, tale strumento sostituisce a ogni livello i piani
paesistici, i piani territoriali o urbanistici e ogni altro strumento di
pianificazione (art. 12, comma 7)[8]. Questa
previsione mette in luce aspetto problematico della legge del 1991: la riforma costituzionale
entrato del 2001 non sembra consentire la soppressione della potestà di
pianificazione comunale[9]. Al
riguardo è sufficiente ricordare che il comune è uno degli enti che compongono la Repubblica (art. 114,
comma 1, Cost.) e che la pianificazione urbanistica è pacificamente qualificata
come funzione fondamentale dal legislatore statale, ai sensi dell’art. 117,
comma 2, lett. p), Cost.[10]. L’idea stessa che una
funzione fondamentale del comune sia attribuita a un ente non menzionato
dall’art. 114, Cost., ossia a un soggetto non esponenziale di una collettività
territoriali, non appare in linea con il disegno costituzionale. Disegno – vale
la pena di sottolinearlo – che vede nei pubblici poteri i titolari naturali
delle funzioni amministrative (art. 118, Cost.) e che tende a escludere (o
comunque a scoraggiare) l’attribuzione di funzioni amministrative ad enti che
fuoriescano dal circuito democratico rappresentativo.
A prescindere per il momento da questo aspetto, si deve ricordare che,
dopo alcune oscillazioni, questo complesso normativo è stato interpretato in
modo estensivo dalla giurisprudenza penale e amministrativa. La quale ha avuto
modo di affermare che ogni trasformazione all’interno dei parchi è sottoposto al preventivo nulla osta “anche
in assenza quindi della previa approvazione del piano e del regolamento del
parco”, ben potendo l’ente di gestione fare riferimento ai piani paesistici
territoriali o urbanistici o agli altri strumenti di pianificazione[11].
In sostanza, in forza di tali pronunce, la sola esistenza del potere di
pianificazione in capo all’ente gestore, a prescindere dal suo esercizio in
concreto, comporta l’attrazione di poteri autorizzatori e di controllo in suo
favore.
Se questo orientamento giurisprudenziale ha avuto il pregio di concorrere
alla salvaguardia del territorio, nelle more della predisposizione degli atti
di pianificazione, non può però far passare in secondo piano l’estrema lentezza
con cui si sta procedendo nella predisposizione dei piani per i parchi. Risulta
infatti che, nel giugno 2013, su 24 parchi nazionali, 12 (il 50%) non hanno
ancora un piano adottato dalla Regione, 3 (il 13%) sono in fase di
consultazione pubblica e solo 8 (il 33%) sono vigenti[12].
Dallo stesso sito si può ricavare che per questi 8 piani vi è un periodo medio
di 13 anni tra l’istituzione dell’ente e l’approvazione del piano. Non sono
invece disponibili informazioni sui costi di queste attività amministrate.
Risulta ancora che, in Italia sono stati istituiti 152 parchi regionali (in
base all’art. 23, l .
n. 394/91)[13]; ma non vi sono dati attendibili
circa il numero di piani per il parco regionale che oggi sono in vigore.
1.2. Il piano paesaggistico
Come accennato, il codice dei beni culturali ha profondamente innovato la
precedente disciplina del paesaggio[14]. In
questa sede è sufficiente accennare brevemente a due dati. In primo luogo, il piano
paesaggistico, in ragione dell’ampiezza dei suoi contenuti, rappresenta un atto
di pianificazione d’area vasta di carattere tendenzialmente generale[15]; ciò in quanto, anche in
ragione della Convenzione europea[16], “la tutela del paesaggio ha assunto una
portata generale e comunque una decisiva prevalenza di valore rispetto alla
pianificazione urbanistica, sull’intero territorio”[17]. In
secondo luogo, come anticipato, l’art. 145 del codice cit. ha introdotto la
regola, inversa a quella stabilita dalla l. n. 394/91, della prevalenza del piano
paesaggistico su gli altri strumenti di pianificazione[18], ivi
compreso quello per il parco (145, comma 3, codice)[19], con
la conseguenza che gli enti gestori
delle aree naturali protette (oltre ai comuni) sono tenuti ad adeguare gli
strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale alle relative
prescrizioni (art. 145, comma 4)[20].
Nella relazione
illustrativa dello schema di decreto legislativo recante il secondo correttivo
al d.lgs n. 42/04 si chiarisce che la nuova regola “(…) ben si giustifica
anche in considerazione della partecipazione dello Stato alla elaborazione dei
piani paesaggistici con riguardo alle aree vincolate (art. 135, comma 1). Tale
modalità di elaborazione costituisce sufficiente garanzia di adeguata tutela
degli interessi perseguiti attraverso i piani parco”[21].
La prevalenza del piano paesaggistico su quello per il parco trova peraltro
una sua specifica disciplina negli articoli 135, 142 e 143, d.lgs n. 42/04 cit.
In base all’art. 142, comma 1, lett. f) (che riprende la l. 8 agosto 1985, n.
431) i parchi e le riserve nazionali o
regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi sono – ope
legis – aree di interesse paesaggistico e, in quanto tali, sono sottoposti
alle disposizioni del titolo I, parte terza del d.lgs cit. Il che vuol dire che
tali aree costituiscono un elemento necessario del piano paesaggistico; in
conseguenza, per tali porzioni di territorio il piano paesaggistico stesso deve
dettare le “prescrizioni d’uso intese ad assicurare la conservazione dei
caratteri distintivi di dette aree e, compatibilmente con essi, la valorizzazione”
(art. 143, comma 1, lett. c), nonché le prescrizioni previste dall’art. 135,
comma 4 per i diversi ambiti dei piani paesaggistici. Prescrizioni queste che,
come detto, in base all’art. 145 cit., si impongono agli enti gestori di aree
naturali protette[22].
Questa regola è stata sottoposta al vaglio del giudice costituzionale e di
quello amministrativo. La Corte
costituzionale – che se ne è occupata con riferimento ai rapporti tra il d.lgs
n. 42/04 e la potestà legislativa delle regioni a statuto ordinario in materia
di strumenti di pianificazione delle aree protette[23]
– ha affermato che l’art. 145, comma 3, d.lgs cit., da un lato, costituisce
norma interposta in base alle quale deve essere interpretato l’art. 117, comma
2, lett. f) della Costituzione; il che significa che le leggi regionali la
debbono rispettare. La stessa norma, d’altro canto, contiene un principio
fondamentale delle materie di legislazione concorrente “governo del
territorio” e “valorizzazione dei beni culturali ed ambientali”[24]. La Corte ha altresì precisato
che la modifica del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, introducendo
all’art. 117, comma 2, lett. s), la competenza esclusiva dello Stato in materia
di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, ha mutato il contesto
di riferimento in cui si inseriva la legge n. 394 del 1991; infatti ora le Regioni
possono esercitare funzioni amministrative di “tutela” se, ed in quanto, ad
esse conferite dallo Stato, in attuazione del principio di sussidiarietà, di
cui all’art. 118, comma 1 Cost. (Corte cost. n. 193/10 cit.).
Anche il giudice amministrativo, ha
avuto modo di occuparsi dell’argomento, precisando che, in base all’art. 145,
comma 1, seconda frase, la prevalenza è “da ritenersi relativa solo agli
aspetti paesaggistici, sicché ben può affermarsi che la disciplina più
restrittiva rispetto al piano paesaggistico stabilita per determinate aree sia
volta a tutelare quegli ulteriori valori che il Piano dei Parchi pure tutela e
non violi quindi il principio di prevalenza sopra evidenziato”)[25]. Secondo
questa impostazione, quindi, la legittimità di una norma del piano per il
parco, in relazione a quello paesaggistico, deve essere verificata con riguardo
al suo scopo.
3. Incoerenze del quadro normativo vigente
Nonostante la
regola della prevalenza del piano paesaggistico su quello per il parco sia stata
suffragata dalla giurisprudenza costituzionale (quanto meno per le aree
protette regionali), il nuovo sistema presenta alcuni aspetti critici.
Innanzitutto, i due strumenti perseguono finalità sostanzialmente simili, se
non altro perché entrambi devono fare riferimento a valori storici e culturali
e perché possono incidere su medesimi aspetti della realtà e soprattutto su
medesime attività private e pubbliche. Del resto, è sufficiente leggere i piani
per il parco approvati per rendersi conto che si tratta, in sostanza, di piani
paesaggistici, nei quali sono innestate sezioni dedicate alla conoscenza e alla
tutela degli ecosistemi.
Questa identità di oggetto dimostra l’irrazionalità dell’attuale disciplina
che prevede la coesistenza di due piani generali d’area vasta con finalità di
tutela. Infatti, questo assetto di poteri, oltre a essere un fattore di
inefficienza della spesa pubblica (in considerazione dei costi di
predisposizione di questi strumenti), è foriero di potenziali incertezze (e
dunque motivi di conflitto) nei rapporti tra le amministrazioni preposte alla
gestione dei diversi vincoli e soprattutto incertezze per i cittadini e gli
operatori economici (e quindi motivi di contenzioso innanzi al giudice
amministrativo, al quale alla fine è rimesso il compito di risolvere le
antinomie tra i due strumenti di pianificazione). Senza considerare che tale
incertezza finisce per oscurare le responsabilità politiche delle singole
scelte pubbliche e quindi per danneggiare il principio democratico, che invece
dovrebbe sorreggere (anche attraverso il principio della chiarezza delle
competenze) l’azione amministrativa.
A fronte di queste ciriticità, di
tanto in tanto riemerge la tentazione di ripristinare la regola della prevalenza
del piano per il parco su quello paesaggistico. Si pensi, ad esempio, alla l.
n. 308 del 2004 (delega al Governo per il riordino, il coordinamento e
l'integrazione della legislazione in materia ambientale); essa aveva previsto,
tra i principi di delega (però non esercitata sul punto), che l’entrata in vigore
del piano per il parco (o l’emanazione delle misure di salvaguardia) determinasse
la decadenza delle prescrizioni paesaggistiche (art. 1, comma 1, lett. d). Si
pensi ancora alle recenti proposte di legge intese alla modifica dell’art. 145
del codice dei beni culturali, per assicurare la preminenza del piano per il
parco su quello paesaggistico[26].
Queste iniziative dimostrano la presenza nel sistema istituzionale e
nella stessa società civile di un antagonismo tra esigenze di tutela dell’ambiente
e del paesaggio. A prescindere dalle ragioni di tale fenomeno, è certo che non può
essere una tale rivalità, né il semplice ritorno al passato, ad assicurare un
elevato livello di protezione di questi valori che, si ripete, sono “primari” e “assoluti”. Il miglioramento delle attività amministrative in questo
ambito presuppongono invece l’individuazione di criteri di divisione del lavoro
chiari, ragionevoli ed efficienti, nonchè di strumenti operativi adeguati. Insomma,
la regola della prevalenza del piano paesaggistico, per avere un senso, impone il
ripensamento alla base della disciplina statale e regionale in materia di aree
protette[27], impone cioè di portare a
compimento la riforma del sistema delle tutele avviata con il d.lgs n. 42/04
cit.
4. Proposta in prospettiva de jure condendo
È quindi
necessario un intervento normativo che, prendendo le mosse dal principio oramai
consolidato della prevalenza del piano paesaggistico, ridefinisca le attribuzioni
e gli strumenti operativi degli enti di gestione dei parchi nazionali e regionali.
In primo luogo, esigenze di razionalità (anche della spesa) impongono la
riduzione degli strumenti di pianificazione, anche per garantire l’attuazione
dei principi di semplificazione e di coerenza dell’azione amministrativa. La
soluzione ideale è, per le aree di cui all’art. 142, comma 1, lett. f), di integrare
il piano paesaggistico con i contenuti del piano per il parco (art. 12, commi 1
e 2, l .
394/91 cit.), sopprimendo le funzioni di pianificazione oggi imputate agli enti
di gestione. Per tali aree, poteri di pianificazione dovrebbero essere
attribuiti solo allo Stato e alle regioni, per quanto riguarda la tutela del
paesaggio, dell’ambiente e dell’ecosistema – da assicurare attraverso il piano
paesaggistico – e ai comuni, per quanto riguarda il governo del territorio.
Tale innovazione consentirebbe, tra l’altro, di superare il grave vulnus alla legittimità costituzionale
che affligge la legge del 1991. Con riferimento a tali ambiti, inoltre, l’elaborazione
del piano paesaggistico dovrebbe avvenire congiuntamente tra il Ministero per i
beni e le attività culturali, quello dell'ambiente e della tutela del territorio
e del mare e la regione interessata. Agli enti di gestione dovrebbe essere
comunque assicurato un ruolo di collaborazione e consultivo.
Non si deve trascurare che
questa soluzione presenterebbe anche il vantaggio di assicurare la
considerazione unitaria del territorio, nel senso di agevolare l’inclusione delle
arre naturali protette in un contesto di territoriale più ampio.
In secondo luogo e conseguentemente, si dovrebbero ridefinire le
attribuzioni degli enti parco. Come detto, essi dovrebbero essere privati di poteri
di pianificazione (e del connesso potere autorizzatorio: art. 13, l . 394/91), ma sarebbero
comunque titolari di una serie di funzioni rilevanti. In particolare, essi dovrebbero
svolgere quattro tipi di compiti. Innanzitutto dovrebbero collaborare con lo
Stato e la Regione
nella predisposizione del piano paesaggistico, ponendo in essere segmenti importanti
dell’attività istruttoria (es. per la formazione del quadro conoscitivo, per la
suddivisione delle zone in cui il territorio dell’area protetta andrebbe
suddiviso, per l’individuazione dei fattori di rischio e di vulnerabilità); in
sostanza, essi dovrebbero fornire al pianificatore informazioni rilevanti sull’ecosistema.
In secondo luogo, dovrebbero, insieme alla Regione e ai comuni, monitorare il territorio
e le sue dinamiche. In terzo luogo, dovrebbero concorrere alla promozione e alla
valorizzazione delle comunità stanziate all’interno dell’area protetta.
Ma soprattutto gli enti parco dovrebbero svolgere attività collegate alla
gestione e alla protezione dell’habitat, i cui obiettivi prioritari
d’intervento siano stabiliti nel piano paesaggistico. Si pensi, ad esempio, ad
alcune specie in via di estinzione; ebbene, queste strutture dovrebbero concepire
e attuare strategie volte ad eliminare le fragilità riscontrate per assicurare
il ripopolamento della specie a rischio. Vale la pena di notare che questo tipo
di attività, a differenza delle prime due, è propriamente manageriale, nel
senso che la sua ragion d’essere risiede nell’efficiente raggiungimento di alcuni
obiettivi di carattere ambientale, preventivamente stabiliti e pubblicizzati[28]. In
altri termini, mentre comuni, regioni e Stato, in questo campo, dovrebbero
agire essenzialmente secondo le forme dell’attività amministrativa autoritativa
(es. pianificazione, autorizzazione, ordini, ecc.), gli enti parco sarebbero
invece chiamati a gestire la complessità naturalistica, attraverso
l’applicazione di nozioni tecniche e operazioni materiali, svolgendo cioè compiti
“a carattere tecnico-operativo”[29].
Una riforma in tale direzione presenterebbe il vantaggio di
razionalizzare il lavoro amministrativo e di fare chiarezza sulle
responsabilità in questo campo. In tal modo, infatti, in ossequio al testo
costituzionale, si ristabilirebbe la centralità dei pubblici poteri nel governo
del territorio anche con l’attribuzione solo in loro favore di funzioni di regolazione
(a carattere generale e individuale); mentre, le attività di gestione
dell’ecosistema sarebbero svolte in autonomia e sotto la responsabilità degli enti
parco, ossia di soggetti particolarmente qualificati in materia ambientale.
Tutto ciò ovviamente presupporrebbe anche
la ridefinizione della disciplina di tali enti, i quali, per le aree protette
nazionali, dovrebbero essere qualificati come enti strumentali contestualmente
dello Stato e della regione, che, d’intesa tra loro, dovrebbero approvare i
programmi di attività, esercitare il potere di direttiva e svolgere i compiti
di vigilanza (es. approvazione dei bilanci, ecc.).
Dovrebbe allora essere chiaro che
non è dalla rivalità tra paesaggio e ambiente, o dal semplice ritorno al
passato, che possono derivare soluzioni ottimali ai problemi della tutela di
rilevantissimi interessi pubblici. Progressi si potranno fare semmai rilevando le
criticità della normativa vigente e osservando le disfunzioni presenti nella prassi
amministrativa, per proporre soluzioni organizzative in grado di assicurare
alle amministrazioni coinvolte di agire in modo efficace ed efficiente.
* Intervento al XV Convegno annuale del Club giuristi
dell’ambiente, Pescasseroli, 14 settembre 2013.
[1] Cfr. il d.lgs 24 marzo 2006, n. 157 e il d.lgs 26
marzo 2008, n. 63.
[2] Per tutti, S. Amorisino, I rapporti tra i piani dei parchi e i piani paesaggistici alla luce del
Codice Urbani, in Aedon, 2006.
[3] A. Vosskuhle in The Transformation of Administrative Law in Europe . La mutation du droit administratif en Europe, a cura di M. Ruffert, München, 2007, 89-141.
[4] Cfr. Un’utopia
istituzionale. Le aree naturali protette a dieci anni dalla legge quadro, a
cura di C.A. Graziani, Milano, 2003.
[5] Cfr.
la composizione e le funzioni del consiglio direttivo: art. 9, commi 4 e 8, l . cit.; in dottrina, M.
Salerno, La struttura organizzativa,
in Aree naturali protette, a cura di
G. Di Plinio e F. Pasquale, Milano, 2008, 53 ss
[6] Per tutti, G. Di Plinio, Aree protette vent’anni dopo. L’inattuazione "profonda" della
legge 394/1991, in Rivista
quadrimestrale di diritto dell’ambiente, 2011, 29 ss.
[7] A. Crosetti, Aree
naturali protette, in Digesto pubbl.,
Agg. I, 2008, 10 ss.
[8] Cfr. anche l’art. 25, comma 2 per i parchi naturali
regionali. In dottrina, G. Nicolucci, Il
territorio dei parchi nazionali: un invalicabile limite alla pianificazione
urbanistica regionale, in Riv. giur.
Ambiente, 2003, 311 ss.
[9] Si
deve infatti ricordare che i comuni sono chiamati a manifestare il loro assenso
(congiuntamente alla regione e all’ente parco) solo per quanto riguarda le
prescrizioni del piano che riguardano le aree di promozione economica e sociale
(art. 12, comma 4, l .
cit.).
[10] Es. art. 19,
d.l. n. 95 del 2012, conv. l. n. 135 del 2012. Sul punto, in generale, sia
consentito rinviare a L. De Lucia, Le
funzioni di province e comuni nella Costituzione, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 2005, 58 ss.
[11] Es. Cons. Stato, sez. VI. N. 265 del 2009, n. 1109 del
2008; cfr. anche Tar Abruzzo, n. 374 del 2006; Cass. penale, sez. III n. 14183
del 2007.
[12] Dati reperibili sul sito
dell’Istituto Superiore per la
Protezione e la Ricerca Ambientale
http://www.isprambiente.gov.it.
[13] Cfr. il sito di Federparchi
http://www.federparchi.it.
[14] La
letteratura in materia è assai ampia; cfr. per tutti, G.D. Comporti, Piani paesaggistici, in Enc. dir., Annali V, 2012, 1047 ss.; A. Angiuli, Piano paesaggistico e piani ad incidenza territoriale - Un profilo
ricostruttivo, in Riv. giur.
urbanistica, 2009, 291, ss; G. Falcon, I
principi costituzionali del paesaggio (e il riparto di competenze tra stato e
regioni), ivi, 91 ss.; C. Marzuoli, Il paesaggio nel nuovo Codice dei
beni culturali, in Aedon n. 3 del 2008; nonché P. Lombardi, La
pianificazione paesaggistica, in www.federalismi.it ; cfr. anche la sintesi
di V. Mazzarelli, La disciplina del paesaggio dopo il d.lg. 63/2008, in Giorn.
dir. amm., 2008, 12 ss.
[15] Così, ad esempio, S.
Civitarese Matteucci, La pianificazione
paesaggistica: il coordinamento con gli altri strumenti di pianificazione,
in Aedon, n. 3/2005. In generale cfr.
P. Stella Richter, Diritto urbanistico, Milano, 2012, 17 ss., il quale
però, sembra giungere a una diversa conclusione per il piano paesaggistico.
[16] Per tutti, Convenzione
europea del paesaggio e governo del territorio, a cura di G.F. Cartei, Bologna,
2007.
[17] Cons. Stato, sez. IV, 5 luglio 2010, n. 4222.
[18] In generale, F. Magnosi, Sulla preminenza del piano paesaggistico sugli altri strumenti di
pianificazione, in www.pausania.it.
[19] S. Amorisino, I
rapporti tra i piani dei parchi e i piani paesaggistici, cit.
[20] L’origine di questa previsione risale in parte
all’art. 150 del d.lgs. n. 490 del 1999 (t.u. delle disposizioni legislative in
materia di beni culturali e ambientali) e in parte all’art. 7 dell’accordo
stipulato tra Ministero per i beni culturali e le regioni e province autonome
il 19 aprile 2001 e avente ad
oggetto l'esercizio dei poteri in materia di paesaggio. Cfr. la relazione ministeriale allo schema di “Codice
dei beni culturali e paesaggistici”, XIV leg. Senato della Repubblica, doc.
295, p. 73.
[21] Relazione illustrativa al secondo correttivo del
codice, 24 gennaio 2011, p. 11.
[22] Per una lettura riduttiva dell’art. 145, comma 3,
cfr. G.D. Comporti, Piani paesaggistici,
cit., 1074.
[23] Sul punto, occorre
ricordare che la Corte
costituzionale – con riguardo al d.lgs 24 marzo 2006, n. 157 (disposizioni
correttive ed integrative al d.lgs n. 42/04) – ha statuito che la “tutela
ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso ed unitario,
considerato dalla giurisprudenza costituzionale un valore primario ed assoluto,
e rientrando nella competenza esclusiva dello Stato, precede e comunque costituisce
un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza
concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione
dei beni culturali e ambientali. In sostanza, vengono a trovarsi di
fronte due tipi di interessi pubblici diversi: quello alla conservazione del
paesaggio, affidato allo Stato, e quello alla fruizione del territorio, affidato
anche alle Regioni” (sentenza n. 367 del 2007,
§ 7.1.). Cfr. M. Immordino, La dimensione
"forte" della esclusività della potestà legislativa statale sulla
tutela del paesaggio nella sentenza della Corte costituzionale n. 367 del 2007, in Aedon, n. 1/2008. Come noto, questa
sentenza è stata posta alla base del secondo correttivo al codice introdotto
dal d.lgs n. 63/08 cit. (cfr. relazione illustrativa cit.), per quanto concerne
la riformulazione dell’art. 131 d.lgs n. 42/02.
[24] Corte cost., sentenza n.
180 del 2008; sentenza n. 272 del 2009 e sentenza n. 193 del 2010. Sulla
sentenza del 2008, cfr. F. Di Dio, Cogenza
del piano paesaggistico sul piano di assetto delle aree naturali protette: siamo
sicuri che si tratti di un rapporto gerarchico?, in Riv. giur. ambiente, 2008, 801 ss.
[25] Cons. Stato, sez. V, 14 giugno 2012, n. 3515.
[26] Es. Atti parlamentari, XII leg., Documenti, C. 941.
[27] In generale, cfr. le
considerazioni di C. Desideri, Paesaggio e paesaggi, Milano, 2010, 1-72.
[28] In letteratura il tema è stato oggetto di grande
attenzione: cfr. per tutti, M. Adler, A
Socio‐Legal Approach to Administrative Justice, in Law and
Policy, 2003, 233 ss. spec. 329 ss.,
dove ulteriori riferimenti bibliografici.
[29] È questa l’espressione che l’art. 8, d.lgs n. 300 del
1999 utilizza per definire le agenzie dello Stato.
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