Lo staff di Pro Natura Abruzzo

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venerdì 14 febbraio 2014

Il Paesaggio nella Convenzione europea e nel Codice dei Beni culturali e del Paesaggio: tra compatibilità e divergenze

Il Paesaggio nella Convenzione europea e nel Codice dei Beni culturali e del Paesaggio: tra compatibilità e divergenze

C’è un dialogo classico tra Alcibiade e Pericle, riferito da Senofonte[1], che appare utile ricordare per avviare la riflessione. Il discepolo chiede al maestro: che cosa è la legge? Pericle risponde: ciò che l’assemblea ha deciso e messo per iscritto. Anche la sopraffazione, decisa e messa per iscritto? No, questa non sarebbe legge. È legge solo quella che riesce a “persuadere” tutti quanti.
Occorre chiederci: la Convenzione europea sul paesaggio “persuade” se calata nel quadro e nella tradizione giuridica italiana in materia di tutela del paesaggio?
Sarà questa la domanda che animerà il presente lavoro e alla quale si tenterà di rispondere.

La Convenzione europea sul paesaggio – sottoscritta a Firenze il 20 ottobre del 2000 e successivamente ratificata con la legge n. 14 del 9 gennaio 2006 – ha avuto senza dubbio il merito di riavviare in Italia il dibattito sul tema “paesaggio”. Come dimostrano la “Prima conferenza nazionale per il paesaggio” dell’ottobre del 1999 e l’accordo Stato-Regioni sull’esercizio dei poteri in materia di paesaggio del 2001[2]. Ed ha influenzato, in modo significativo, la elaborazione del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (d.lgs. n. 42/2004 e successive modifiche del 2006 e 2008, di seguito Codice) e, in particolare, della sua parte III.
Solo con il Codice il legislatore italiano provvede infatti alla definizione giuridica di paesaggio (art. 131[3]), e a sancirne la sua autonomia rispetto ai concetti di “bellezze naturali” della legge n. 1497 del 1939 (e ancor prima dalla legge n. 778 del 1922), o di “beni ambientali” della legge n. 431 del 1985, come trasfusi nel Testo unico del 1999 (d.lgs. n. 490)[4]. Il punto merita un maggiore approfondimento.
La legislazione di tutela antecedente alla Costituzione si è sempre ispirata ad un modello “estetico-storico-naturalistico”: art. 1 legge n. 778 del 1922 “Sono dichiarate soggette a speciale protezione le cose immobili (…) a causa della loro bellezza naturale e della loro particolare relazione con la storia civile e letteraria”; art. 1 della legge n. 1497 del 1939 “Sono soggette alla presente legge a causa del loro interesse pubblico: 1) le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale (…); 2) le ville, i giardini e i parchi che (…) si distinguono per la loro non comune bellezza (…); 3) i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale; 4) le bellezze panoramiche considerate come quadri naturali (…)”.
La legge “Galasso” del 1985 potenzia i vincoli estesi ex lege a intere zone geografiche definite secondo un criterio morfologico-ubicazionale e rafforza la pianificazione paesaggistica divenuta obbligatoria ed estesa anche al nuovo modello ibrido del piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici. L’interesse ambientale costituisce il punto di riferimento per una diversa concezione dell’oggetto e della tecnica di tutela: l’interesse estetico si trasforma nell’interesse alla preservazione ambientale; la conservazione non riguarda più singoli beni, ma aree e zone; la tutela si proietta sul piano.

Si è, poco sopra, detto del merito che la Convenzione europea ha avuto affinché il legislatore italiano definisse giuridicamente, all’art. 131 del Codice, il concetto di Paesaggio, provvedendo così all’attuazione dell’art. 5 della Convenzione europea che impegna le Parti firmatarie a “riconoscere giuridicamente il paesaggio”.
 Ma nel Codice con il concetto giuridico di «paesaggio» continua a convivere quello di «bene paesaggistico». La parte terza del Codice, infatti, è riservata ai beni paesaggistici – successivamente definiti dagli artt. 134 e 136 – che assieme ai beni culturali, disciplinati nella parte seconda del Codice, costituiscono il patrimonio culturale (art. 2). L’innesto dei beni paesaggistici nell’alveo del patrimonio culturale spiega la specificità di tali beni e la giustificazione di un regime giuridico differenziato, incentrato sul vincolo, da taluni[5] spiegato in ragione della “eccezione del patrimonio culturale”.
Dunque il Codice postula una duplicità terminologica-concettuale tra paesaggio e beni paesaggistici ponendo tra essi un equilibrio ed una mutualità giuridica dei quali non può non tenersi conto. Così come non può non tenersi conto della logica  sottesa ai due consequenziali strumenti di tutela costituiti dalla pianificazione paesistica (riferita all’intero territorio regionale) e dal vincolo (radicato sulla individuazione del bene paesaggistico).
Come è stato opportunamente evidenziato in dottrina[6], il profilo della tutela paesaggistica non consente di confondere tra di loro i distinti piani della rilevanza e della efficacia giuridica. Occorre dunque distinguere tra rilevanza giuridica paesaggistica dell’intero territorio regionale (paesaggio), ed ambito della efficacia giuridica del regime vincolistico (beni paesaggistici). Detto in altri termini: “il paesaggio rappresenta il contesto (continuo e integrale) di rilevanza giuridica del bene paesaggistico, mentre il bene paesaggistico rappresenta la dimensione spaziale dell’efficacia delle misure di tutela”.
Il Codice sembra conformarsi a questa impostazione considerando l’intero territorio regionale come “rilevante” ai fini paesaggistici attraverso la nuova pianificazione paesaggistica (cfr. artt. 135 e 143 Codice) – superando così definitivamente la tutela “atomistica” o comunque separata dal più complessivo contesto territoriale degli immobili di notevole interesse pubblico – in armonia con il senso della Convenzione europea sul paesaggio[7]. Ma, al contempo, mantiene la tutela vincolistica dei beni paesaggistici. Anzi la rafforza. Come risulta dalla novella del Codice del 2008 che ha, attraverso l’abrogazione dei commi 1 e 2 dell’art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977 (art. 5 del d.lgs. del 2008 di modifica del Codice), restituito al Ministero per i beni e le attività culturali, dunque allo Stato, il potere di adottare la dichiarazione di notevole interesse pubblico, in precedenza riservato alle regioni.

Occorre a questo punto chiedersi se un sistema di tutela fondato sul vincolo di singole parti di territorio dichiarate di notevole interesse pubblico paesaggistico sia o meno conforme alla Convenzione europea.
La Convenzione, al riguardo, come affermato sin dal preambolo e poi, ma non solo, agli artt. 1, 3, 5, sembra ruotare intorno agli assi della “salvaguardia”, della “gestione” e della “pianificazione” del paesaggio.
Attraverso i concetti di salvaguardia – che ai sensi dell’art. art. 1 lett. c) ricomprende «le azioni di conservazione e di mantenimento degli aspetti significativi o caratteristici di un paesaggio, giustificate dal suo valore di patrimonio derivante dalla sua configurazione naturale e/o dal tipo d’intervento umano» - e di identificazione dei “propri paesaggi, sull’insieme del proprio territorio” - richiamato, dall’art. 6 C, comma 1, lett. a i)) tra le “misure specifiche” - è possibile concludere che il regime vincolistico previsto dal nostro ordinamento in materia di tutela del paesaggio non è in contrasto con le previsioni della Convenzione europea. Il che sembra avvalorato dalla disposizione di chiusura di cui all’art. 6 E che lascia libertà ad ogni Parte circa gli “strumenti di intervento volti alla salvaguardia, alla gestione e/o alla pianificazione dei paesaggi”.


Attraverso il riconoscimento giuridico del paesaggio e la consequenziale rilevanza del territorio ai fini paesaggistici, tramonta come si è già detto, in armonia con la Convenzione europea, il sistema di tutela fondato esclusivamente sul vincolo di singole parti del territorio che ha da sempre caratterizzato la tutela paesaggistica del nostro paese: dalla legge n. 411 del 1905, di tutela della pineta di Ravenna, al 1922, al 1939 e fino alla legge Galasso del 1985. A quasi trent’anni di distanza si concretizzano così le intuizioni del Predieri[8] che nella voce “paesaggio” dell’Enciclopedia del Diritto parlò per la prima volta di paesaggio come “forma del territorio” superando così la questione dei vincoli solo su particolari beni riconosciuti per il loro valore intrinseco come “beni paesaggistici” oggetto di specifica ed isolata tutela, per estendere la “rilevanza paesaggistica” a tutto il territorio.
La scelta legislativa, operata nel Codice, pare dunque riassumibile sottolineando, da un lato, che i singoli beni rilevano in quanto parti costitutive del paesaggio, e, dall’altro, che la preservazione degli stessi ha importanza in quanto costituisce tutela del paesaggio stesso. Con ciò la salvaguardia del singolo bene rimane un’esigenza fondamentale, tanto perché il paesaggio e i singoli valori sono inscindibili (al punto che il primo sparisce o si modifica se ne vengono estinti o modificati i secondi), quanto perché la tutela del singolo bene è, per definizione, tutela del paesaggio.

Coerentemente, il Codice, sancendo la rilevanza giuridica del territorio ai fini paesaggistici, afferma la centralità della pianificazione paesaggistica, vista come tutela dinamica del paesaggio.
A riprova di ciò, appare dunque opportuno soffermarsi sugli aspetti più significativi dei piani paesaggistici introdotti dal Codice, e dalle sue successive modifiche, in quanto, come si è affermato in dottrina, la nuova pianificazione paesaggistica costituisce una vera e propria “rivoluzione copernicana”[9] in materia di tutela del paesaggio. Infatti, volendo proseguire sulla scia della suggestiva metafora dottrinaria, è intorno all’asse del piano paesaggistico che ruota tutto il nuovo sistema sul paesaggio. Più in particolare, i contenuti del piano paesaggistico sono rilevanti rispetto:
a)                            ai vincoli paesistici;
b)                            all’autorizzazione paesaggistica;
c)                            alla natura (vincolante o obbligatoria) del parere del soprintendentente in sede di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica;
d)                           alla sovraordinazione ai piani, programmi, progetti ad incidenza territoriale, compresi i piani delle aree naturali protette.

Ciascuno dei punti merita un approfondimento.
Sub a): rispetto ai vincoli paesistici il piano ha la quadruplice funzione: 1) di localizzarli sul territorio regionale; 2) di porli ex novo. Si tratta dei così detti “vincoli del terzo tipo di fonte pianificatoria”, ora previsti dai nuovi[10] artt. 134, comma 1, lett. c) e 143, comma 1, lett. d). È questa la disposizione chiave per comprendere la centralità della nuova pianificazione paesaggistica e il radicale mutamento di rapporto tra vincolo e piano, in quanto ora è il piano a creare il vincolo[11]. Tale tipologia di vincoli si aggiunge ai tradizionali vincoli provvedimentali singolari (art. 143, comma 1, lett. b)) e a quelli ex lege (art. 143, comma 1, lett. c))[12];   3) di dar loro un contenuto precettivo, se ne sono privi nei casi di vincoli ex art. 142 (“Aree tutelate per legge”) o ante 2004. Con tale previsione il legislatore consente di «vestire», attraverso contenuti prescrittivi, i vincoli sinora «nudi». Infatti, da sempre, e fino al 2004, la dichiarazione di notevole interesse pubblico si limitava alla individuazione territoriale dell’area vincolata e all’assoggettamento delle trasformazioni a previa autorizzazione. La progressiva sostituzione dei vincoli «nudi» con quelli «vestiti» fa sì che il provvedimento di vincolo non sia più meramente procedurale ma dovrà contenere una disciplina di merito ordinata alla tutela e alla valorizzazione (limitatamente ai beni ex art. 142 Codice) di quegli specifici beni. Ciò comporterà inevitabilmente una drastica riduzione, rispetto al passato, della discrezionalità dell’amministrazione procedente[13] in sede di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica; 4) di inserire armonicamente nel tessuto pianificatorio le prescrizioni ove si tratti di vincoli così detti «vestiti» (art. 140, comma 2, Codice). Anche ciò limiterà significativamente la discrezionalità dei pianificatori.
Sub b): è rimessa ad una scelta del pianificatore, conformemente a quanto previsto dall’art. 143, commi 4, 5, 6 e 7 del Codice, la individuazione delle aree nelle quali gli interventi modificativi non sono subordinati al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica;
Sub c): ai sensi dell’art. 146, comma 5, del Codice, il parere della sovrintendenza sull’istanza di autorizzazione paesaggistica è sempre vincolante. Assume natura obbligatoria, e non vincolante, a due condizioni: 1) all’esito dell’approvazione delle prescrizioni d’uso dei beni paesaggistici; 2) che vi sia stata la positiva verifica, da parte del Ministero per i beni e le attività culturali su richiesta della Regione, circa l’adeguamento al piano degli strumenti urbanistici;
Sub d): secondo quanto previsto dall’art. 145, comma 3, del Codice, le previsioni del piano paesaggistico sono sovraordinate rispetto agli altri piani, programmi, progetti, ora anche quelli di sviluppo economico, compresi i piani delle aree naturali protette relativamente ai soli profili di tutela del paesaggio.
Dall’analisi dei contenuti del piano paesaggistico e, in particolare, dell’art. 143 del Codice che lo disciplina, non può non convenirsi con chi[14] ha opportunamente rilevato come da esso “emerge che la considerazione integrale del territorio regionale fatta dal piano si articola al suo interno in previsioni di efficacia paesaggistica, presupponenti il vincolo paesaggistico, e in previsioni di valorizzazione, estensibili anche alla restante parte del territorio che, pur non essendo propriamente parlando bene paesaggistico, costituisce nondimeno a tutti gli effetti paesaggio giuridicamente rilevante come sfondo di riferimento e di inserimento de beni paesaggistici”.

Non si può non tenere conto del fatto che nel sistema giuridico italiano la pianificazione paesaggistica può alternativamente realizzarsi, sin dalla legge Galasso, o attraverso il piano paesaggistico “puro” ovvero attraverso il piano ibrido urbanistico territoriale con speciale considerazione dei valori paesaggistici. In quest’ultimo si ha il cumulo tra poteri urbanistici e poteri paesaggistici.
È dunque in sede di pianificazione che si assiste al maggior avvicinamento tra le costituzionalmente distinte materie del paesaggio e del governo del territorio (art. 117 Cost.).
La Corte costituzionale, con la recente sentenza n. 367/2007, è stata nuovamente chiamata a pronunciarsi sui rapporti tra paesaggio e governo del territorio. La Corte in tale decisione ha affermato che “la tutela ambientale e paesaggistica gravando su un bene complesso ed unitario, considerato dalla giurisprudenza costituzionale un valore primario ed assoluto (sentt. nn. 151/1986, 641/1987, 182 e 183/2006), e rientrando nella competenza esclusiva dello Stato, precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali. In sostanza vengono a trovarsi di fronte due tipi di interessi pubblici diversi: quello alla conservazione del paesaggio, affidato allo Stato, e quello alla fruizione del territorio, affidato anche alle Regioni”.
Conseguentemente, e in armonia con la decisione della Corte costituzionale appena annotata, la riforma del Codice del 2008 ha meglio definito, rectius chiarito, la distinzione tra la disciplina paesaggistica – che non può che riguardare esclusivamente i beni paesaggistici – rispetto alla disciplina urbanistica relativa a tutto il restante territorio. Con i consequenziali rapporti, e riparto di competenze, tra Stato (Ministero per i Beni e le Attività culturali, Sovrintendenze) e Regione nell’ambito della pianificazione paesaggistica.
Ci si riferisce, in particolare, alle nuove formulazioni:
a)                          dell’art. 135, comma 1, terzo periodo, laddove prevede che “l’elaborazione dei piani paesaggistici avviene congiuntamente tra Ministero e Regioni, limitatamente ai beni paesaggistici di cui all’art. 143, comma 1, lettere b), c) e d), nelle forme previste dal medesimo art. 143”;
b)                         dell’art. 143, comma 2, secondo cui il piano paesaggistico – non approvato dalla regione entro il termine indicato dall’accordo con il Ministero per i Beni e le Attività culturali e il Ministero dell’Ambiente  per la definizione delle modalità di elaborazione congiunta dei piani – è approvato in via sostitutiva con decreto dei Ministro dei Beni culturali, sentito quello dell’Ambiente, “limitatamente ai beni paesaggistici di cui alle lettere b), c) e d) del comma 1”;
c)                          dell’art. 143, comma 3, il quale prevede che il parere del soprintendente nel procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica è sempre vincolante (con le eccezioni di cui al successivo comma 4 e art. 145, comma 5) “in relazione agli interventi da eseguirsi nell’ambito dei beni paesaggistici di cui alle lettere b), c) e d) del comma 1”;

Anche alla luce di tali ultime considerazioni – che evidenziano la distinzione tra disciplina paesaggistica, concernente i beni paesaggistici, e disciplina urbanistica, concernente il restante territorio regionale – non può che giungersi alla conclusione di non ritenere compatibile con il sistema giuridico italiano l’equazione paesaggio- territorio che la Convenzione europea postula all’art. 2 laddove, nel definire il proprio ambito di applicazione, si riferisce a tutto il territorio, riguardando gli “spazi naturali, rurali, urbani e periurbani”.
Non può infatti non concordarsi con quella parte della dottrina[15] la quale – non ritenendo applicabile nell’ordinamento giuridico italiano il sillogismo, pure affermato da altri Autori[16], secondo cui ai sensi della Convenzione europea «tutto il territorio è paesaggio» - evidenzia come “in campo giuridico dire che tutto è paesaggio significa negare un’autonoma ragion d’essere alla nozione giuridica di paesaggio, poiché si elude la possibilità stessa di un regime speciale dei beni, che è e resta il proprium della materia della tutela del paesaggio. Dire che «tutto è paesaggio» va bene, ma solo su un piano naturalistico, descrittivo, pregiuridico; comunque fuori dal diritto”.

Vi è poi un’altra ragione per la quale non è possibile mutuare nel nostro ordinamento l’equazione paesaggio-territorio. Infatti, dire che tutto il territorio è paesaggio conduce all’equazione paesaggio-urbanistica e, conseguentemente, sotto il profilo vincolistico, a due inconciliabili conclusioni: a) tutti i vincoli sul territorio sono di natura paesistica; ovvero b) non ci sono vincoli paesistici ma solo vincoli urbanistici.
Entrambe tali conclusioni sono, anzitutto, sconfessate da quella consolidata giurisprudenza costituzionale e amministrativa che ha, nel tempo, delineato i distinti caratteri e le differenti nature dei due vincoli in esame. Basti dire in questa sede[17], che il vincolo paesistico, a differenza di quello urbanistico, ha natura dichiarativa e non costitutiva e secondariamente non è indennizzabile in quanto non può parlarsi di compressione al contenuto del diritto di proprietà poiché tale diritto “è nato con il corrispondente limite e con quel limite vive”[18].
L’insostenibilità degli assunti sopra esposti appare ben colta e sintetizzata da quell’indirizzo del Consiglio di Stato, secondo cui sono ascrivibili tra i vincoli ricognitivi unicamente quelli costituiti “autonomamente in virtù di leggi speciali, e soggetti a peculiari discipline (vincoli militari, idrogeologici, forestali, di parco, paesistici)”; quelli, invece, “che sorgono direttamente ed originariamente per effetto della previsione da parte dello strumento urbanistico” debbono qualificarsi vincoli costitutivi, la cui natura giuridica è quella di “prescrizioni aventi natura squisitamente urbanistica”[19].
Nel solco dell’esigenza di sgombrare il campo da equivoche sovrapposizioni tra urbanistica e paesaggio, appare opportuno evidenziare in questa sede come il legislatore del 2008 abbia opportunamente eliminato i così detti “vincoli urbanistici con funzioni paesaggistiche”, i quali, come colto in dottrina[20], presentavano seri problemi applicativi e di legittimità. Fino alla riforma del 2008, infatti, l’art. 145, comma 4, consentiva agli enti territoriali, in sede di conformazioni e adeguamento degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica alle previsioni del piano paesaggistico, di introdurre “le ulteriori previsioni conformative (…) utili ad assicurare l’ottimale salvaguardia dei valori paesaggistici individuati dai piani”.  


Le Regioni italiane hanno sempre difeso l’equazione paesaggio-territorio enunciata nella Convenzione europea, al fine di rivendicare propri poteri in materia di paesaggio. In particolare, nel parere sullo schema di decreto legislativo sulla prima riforma della parte III del Codice – poi d.lgs. n. 157/2006, formulato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome del 26 gennaio 2006 – la “concezione integrale del paesaggio”, posta dalla Convenzione europea, è stata il presupposto per sostenere: a) che la pianificazione paesaggistica, trasferita alle Regioni fin dal d.P.R. n. 8/1972, rientra nei poteri propri delle Regioni; b) che la disciplina legislativa e le funzioni amministrative siano tra loro interdipendenti per cui il fatto che i compiti connessi alla pianificazione paesaggistica siano stati trasferiti alle Regioni sin dal 1972 costituirebbe un limite all’esercizio della potestà normativa dello Stato. La richiamata sentenza n. 367/2007 della Corte costituzionale ci induce a ritenere non corretti tali assunti.
Non può tuttavia non osservarsi come un distorto concetto giuridico di paesaggio – considerato come uno dei profili del governo del territorio, con conseguente equivalenza tra l’interesse pubblico preordinato alla tutela del paesaggio e interesse pubblico finalizzato al governo del territorio – continui ad essere alla base di alcuni recenti ricorsi di legittimità costituzionale contro leggi regionali promossi dallo Stato[21].

La innegabile asimmetria tra la Convenzione europea, secondo la quale il paesaggio è tutto il territorio e di conseguenza costituzionalmente attratto nella materia del governo del territorio,  e quelle del nostro ordinamento, che si riferisce a limitate e definite categorie di beni (artt. 134, 136 del Codice) e, dunque, a porzioni territorialmente limitate, impone all’interprete una delicata attività ermeneutica - come d’altra parte richiede, in generale, il diritto internazionale di fonte pattizia - di adeguamento ai principi e alla tradizione giuridica del diritto interno. A tale proposito deve evidenziarsi come il legislatore del 2008 abbia opportunamente novellato l’art. 132 del Codice (“Convenzioni internazionali”) aggiungendo un secondo comma che, ribadendo un ordine tra le fonti, sembra sgombrare il campo da qualsiasi dubbio circa la fonte del diritto prevalente in tema di ripartizione delle competenze in materia di paesaggio. È infatti detto che essa “è stabilita in conformità dei principi costituzionali, anche con riguardo all’applicazione della Convenzione europea sul paesaggio”.


In conclusione, e riprendendo il racconto di Senofonte con il quale si è iniziato questo lavoro, possiamo dire che la Convenzione europea “persuade” laddove adeguatamente calata nella tradizione giuridica italiana in materia di tutela del paesaggio di cui è espressione il Codice.  Il quale, a sua volta, rappresenta una adeguata traduzione in diritto italiano dei principi della Convenzione.
Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio costituisce, infatti, specie dopo la novella del 2008, un condivisibile punto di equilibrio tra i distinti concetti giuridici di “Paesaggio” e “Bene paesaggistico” e, consequenzialmente, tra quelli di “pianificazione paesaggistica” (ex artt. 135 e 143 Codice) e “vincolo paesaggistico”.
Conclusasi la fase delle riforme normative, due in soli quattro anni, la prossima impegnativa sfida per la tutela del paesaggio italiano dovrà compiersi sul terreno della elaborazione di una adeguata, razionale, condivisa e lungimirante pianificazione paesaggistica. Una pianificazione da compiersi secondo i parametri del nuovo art. 143 del Codice, il quale, significativamente, affida (comma 1, lett. c)) al piano anche il compito di individuare “ulteriori contesti (diversi dai beni paesaggistici di cui all’art. 136) da sottoporre a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione”. Il che significa, solo per fare un esempio fra i tanti, che il piano dovrà tenere conto anche dei siti della Rete Natura 2000 (SIC, ZPS, ZSC) i quali, pur non essendo strictu sensu beni paesaggistici, dovranno essere adeguatamente considerati in quanto incidono nel contesto territoriale (continuo ed integrale) di “rilevanza giuridica del bene paesaggistico” cioè il “paesaggio”.
Il piano paesaggistico diverrà dunque sempre più il luogo di elezione nel quale comporre i diversi e spesso confliggenti interessi: paesaggio, ambiente, sviluppo economico, energia, infrastrutture, ecc. Emblematico in tal senso è il settore dell’energia eolica vero crocevia tra la tutela del paesaggio, dell’ambiente (protocollo di Kyoto), e attività produttive[22].
Il piano paesaggistico, inoltre, dovrà sempre più rappresentare, mutuando l’espressione di M.S. Giannini nella sua voce “Pianificazione” dell’Enciclopedia del diritto, una “pianificazione di risultato”. Una pianificazione cioè che non si limiti a prescrivere e dunque ad esaurirsi nella sua funzione conformatrice ma che si presenti come uno strumento di pianificazione a formazione progressiva che estenda i suoi effetti e la sua efficacia alle successive azioni e atti delle pubbliche amministrazioni nonché dei privati coinvolti. Non a caso, nella riforma del Codice del 2008 è stato opportunamente affermato il principio secondo il quale “le previsioni dei piani paesaggistici (di cui agli artt. 143 e 156 del Codice) non sono derogabili da parte dei piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico” (art. 145, comma 3, Codice).
Solo procedendo in questo modo potrà concretizzarsi – come auspicato ripetutamente dalla Corte costituzionale – una “visione integrata del territorio” che è indispensabile per una buona pianificazione urbanistica e, nel contempo, una buona pianificazione e tutela paesaggistica, al fine di conseguire un paesaggio di buona qualità.
Ma tale risultato lo si potrà realizzare solo se, accanto ai concetti di “Paesaggio” e “Piano paesaggistico” convivano, in un rapporto di equilibrio e sinergia, quelli di “Bene paesaggistico” e di “Vincolo”. E ciò in quanto, come è stato affermato in dottrina, “la tutela dinamica del piano, aperta alla revisione, alla deroga, alla variante semplificata, allo stralcio di aree, alla sostanziale rinegoziazione continua delle scelte, è insufficiente ad assolvere alla funzione di tutela del patrimonio paesaggistico, che implica (invece) necessariamente forti ed ineliminabili elementi strutturanti di tutela selettiva e statica (vincoli)”[23].
D’altra parte, una tutela che prescindesse dal vincolo, specie se posto da un livello amministrativo nazionale, renderebbe assai difficoltoso il compimento di scelte lungimiranti. Ad esempio, la scelta di arrestare il consumo di suolo – quando oggi in Italia lo sfruttamento del territorio costituisce la principale voce di finanziamento degli enti locali (Imposta Comunale sugli Immobili, oneri di urbanizzazione ecc.) –  in una logica che permetta di avere un domani intatta una risorsa che consenta qualità, crescita economica, ben difficilmente potrà essere assunta a livello locale.
Appare dunque regressiva l’idea secondo cui il paesaggio appartenga alle popolazioni che lo abitano[24] e non sia, come vuole invece l’art. 9 Cost., un valore culturale e identitario dell’intera Nazione e come tale oggetto di tutela, in un rapporto di cooperazione, tra le diverse componenti della Repubblica.



[1] Memorabili, I 2,40-46
[2] Accordo concluso il 19 aprile 2001 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 114 del 18 maggio 2001.
[3] La novella al Codice del 2008 ha correttamente rubricato l’art. 131 “Paesaggio” ed eliminato la limitazione a “parti del territorio”.
[4] Conformemente all’art. 2 della Convenzione europea costituisce paesaggio anche quello degradato (cfr. art. 135, comma 4, lett. c).
[5] G. Severini, in M.A. Sandulli (a cura di), Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, Milano, Giuffrè, 2006.
[6] P. Carpentieri, Regime dei Vincoli e Convenzione Europea, in Gian Franco Cartei (a cura di), Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, Il Mulino, 2007.
[7] R. Priore in, La Convenzione europea del paesaggio: matrici politico-culturali e itinerari applicativi, in Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, cit. prima osserva come “i paesaggi considerati di eccezionale valore sotto il profilo esterico-culturale potranno continuare, con il sostegno delle norme della Convenzione, ad essere opportunamente salvaguardati tramite i vincoli che gli Stati vorranno stabilire”. E poco oltre viene affermato dall’Autore come “si ritengano superate dalla Convenzione quelle concezioni dottrinarie secondo le quali, sotto il profilo paesaggistico, possono godere di una speciale tutela giuridica soltanto quelle aree che presentano un interesse (culturale) eccezionale (…)”.

[8] A. Predieri, Paesaggio, in Enciclopedia del diritto, vol. XXXI, Milano, Giuffrè 1981; Id., Significato della norma costituzionale sulla tutela del paesaggio, in Urbanistica, tutela del paesaggio, espropriazione, Milano, 1969.
[9] P. Urbani, La costruzione del piano paesaggistico, in G. Cugurra, E. Ferrari, G. Pagliari (a cura di), Urbanistica e paesaggio, Napoli, 2006.
[10] Per comodità espositiva i riferimenti normativi sono compiuti in relazione al testo del Codice come risultante a seguito della novella del 2008.
[11] Come si è osservato in dottrina - (P. Carpentieri, Regime dei Vincoli e Convenzione Europea, cit.) - fino al Codice del 2004 la giurisprudenza amministrativa ha sempre impostato il rapporto tra vincolo e piano paesaggistico sull’idea della priorità logico-giuridica e della preminenza gerarchica del vincolo rispetto al piano affermando che il vincolo costituisce il presupposto del piano sia sotto il profilo diacronico e procedimentale, che dal punto di vista gerarchico e sostanziale e che l’adozione del piano attiene ad una fase successiva che presuppone la dichiarazione di interesse paesaggistico, la quale è quindi destinata a permanere, risultando ulteriormente disciplinata l’operatività del vincolo paesaggistico esistente, sicchè il piano è presentato come strumento di attuazione e specificazione del contenuto precettivo del vincolo. Ex multis, Cons. Stato, Sez. II, parere n. 548 del 20 maggio 1998; Sez. VI, 19 giugno 2001, n. 3242; Sez. IV, luglio 2003, n. 4531; Sez. VI, 22 agosto 2003, n. 4766. 
[12] In dottrina, in particolare G.F. Cartei, La disciplina dei vincoli paesaggistici: regime dei beni ed esercizio della funzione amministrativa, in «Riv. giur. ed.», II, 2006; Id, in G. Cugurra, E. Ferrari, G. Pagliari (a cura di), cit., si sono sollevati dubbi circa la legittimità costituzionale della formulazione anteriore alla novella del Codice del 2008 in quanto, si affermava, non dettava alcun criterio per l’individuazione e la disciplina d’uso dei beni paesaggistici creati dal piano. Il che appariva in chiaro contrasto con l’art. 42 Cost. che, invece, impone una previa determinazione legislativa dei modi di godimento e dei limiti alla proprietà privata. Come si è detto tali dubbi devono ritenersi superati attraverso il nuovo art. 134, comma 1, lett. c) che esplicitamente rinvia all’art. 136 per la determinazione dei criteri di individuazione di tali beni.
[13] Le Regioni hanno generalmente delegato i Comuni al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica. A tale proposito merita rinviare alla nuova formulazione del 2008 dell’art. 146, comma 6, con la quale si è tentato di mitigare gli effetti di un perverso meccanismo che vede una medesima autorità amministrativa rilasciare sia il titolo abilitativo edilizio sia l’autorizzazione paesaggistica.
[14] P. Carpentieri, Regime dei Vincoli e Convenzione Europea, cit.
[15] P. Carpentieri, Regime dei Vincoli e Convenzione Europea, cit.
[16] R. Priore, Verso l’applicazione della Convenzione europea del paesaggio in Italia, in «Aedon», rivista di arti e diritto on line, n. 3, 2005, www.aedon.mulino.it; dello stesso Autore, La Convenzione europea del paesaggio: matrici politico-culturali e itinerari applicativi, in Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, cit.
[17] Per approfondimenti sul tema si rinvia a G.F. Cartei, La disciplina dei vincoli paesaggistici: regime dei beni ed esercizio della funzione amministrativa, cit.; Id, in G. Cugurra, E. Ferrari, G. Pagliari (a cura di), cit.
[18] Corte cost. sent. n. 56/1968, in Giur. cost. 1968, 860 ss.
[19] Cons. Stato, Sez. IV, 25 settembre 2002, n. 4907.
[20] G. F. Cartei, La disciplina dei vincoli paesaggistici: regime dei beni ed esercizio della funzione amministrativa, cit.
[21] Cfr. ricorso n. 5, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 21-2-2007 (Prima serie speciale n. 8), con cui il Presidente del Consiglio ricorre contro la legge della Regione Calabria 24 novembre 2006, n. 14, art. 2, comma 1, ottavo capoverso, e art. 4, comma 1, tredicesimo capoverso. Interessante notare come la legge regionale de qua anziché riferirsi alla nozione di paesaggio ex art. 131 del Codice scelga di recepire la Convenzione europea del paesaggio; ricorso n. 9, pubblicato sulla gazzetta Ufficiale del 12-3-2008 (Prima serie speciale n. 12), con cui il presidente del Consiglio ricorre contro la legge della Regione Basilicata 26 novembre 2007, n. 21, art. 21.
[22] Non è questa la sede per approfondire la tematica che richiederebbe una adeguata attenzione. Si rinvia a: F. De Leonardis, Paesaggio ed attività produttive: criteri di bilanciamento tra paesaggio ed energia eolica, in G. Cugurra, E. Ferrari, G. Pagliari (a cura di), Urbanistica e paesaggio, Napoli, 2006; e all’articolo di M. Pirani, Il vento soffia miliardi a scapito del paesaggio, su La Repubblica del 17-3-2008 nel quale si evidenzia la mancanza di un piano energetico nazionale e “la fame di soldi dei piccoli comuni abbindolati dalle sovvenzioni e, ancor più, i profitti vertiginosi delle industrie produttrici degli impianti eolici”
[23] P. Carpentieri, Regime dei Vincoli e Convenzione Europea, cit.
[24] Non a caso l’art. 118 Cost. individua nei principi di adeguatezza e differenziazione i contrappesi alla sussidiarietà verticale.

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