Il Paesaggio nella Convenzione europea e nel Codice
dei Beni culturali e del Paesaggio: tra compatibilità e divergenze
C’è un dialogo classico tra Alcibiade e Pericle, riferito da Senofonte[1], che
appare utile ricordare per avviare la riflessione. Il
discepolo chiede al maestro: che cosa è la legge? Pericle risponde: ciò che
l’assemblea ha deciso e messo per iscritto. Anche la sopraffazione, decisa e
messa per iscritto? No, questa non sarebbe legge. È legge solo quella che
riesce a “persuadere” tutti quanti.
Occorre chiederci: la Convenzione europea sul paesaggio “persuade” se
calata nel quadro e nella tradizione giuridica italiana in materia di tutela
del paesaggio?
Sarà questa la domanda che animerà il presente lavoro e alla quale si
tenterà di rispondere.
La Convenzione europea sul paesaggio – sottoscritta a Firenze il 20
ottobre del 2000 e successivamente ratificata con la legge n. 14 del 9 gennaio
2006 – ha avuto senza dubbio il merito di riavviare in Italia il dibattito sul
tema “paesaggio”. Come dimostrano la
“Prima conferenza nazionale per il paesaggio” dell’ottobre
del 1999 e l’accordo Stato-Regioni sull’esercizio dei poteri in materia di
paesaggio del 2001[2]. Ed ha influenzato, in
modo significativo, la elaborazione del Codice dei Beni Culturali e del
Paesaggio (d.lgs. n. 42/2004 e successive modifiche del 2006 e 2008, di seguito
Codice) e, in particolare, della sua parte III.
Solo con il Codice il legislatore italiano provvede infatti alla
definizione giuridica di paesaggio (art. 131[3]), e a
sancirne la sua autonomia rispetto ai concetti di “bellezze naturali” della
legge n. 1497 del 1939 (e ancor prima dalla legge n. 778 del 1922), o di “beni
ambientali” della legge n. 431 del 1985, come trasfusi nel Testo unico del 1999
(d.lgs. n. 490)[4]. Il punto merita un
maggiore approfondimento.
La legislazione di tutela antecedente alla Costituzione si è sempre
ispirata ad un modello “estetico-storico-naturalistico”: art. 1 legge n. 778
del 1922 “Sono dichiarate soggette a speciale protezione le cose immobili (…) a
causa della loro bellezza naturale e della loro particolare relazione con la
storia civile e letteraria”; art. 1 della legge n. 1497 del 1939 “Sono soggette
alla presente legge a causa del loro interesse pubblico: 1) le cose immobili
che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale (…); 2) le ville, i giardini
e i parchi che (…) si distinguono per la loro non comune bellezza (…); 3) i
complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente
valore estetico e tradizionale; 4) le bellezze panoramiche considerate come
quadri naturali (…)”.
La legge “Galasso” del 1985 potenzia i vincoli estesi ex lege a intere zone geografiche
definite secondo un criterio morfologico-ubicazionale e rafforza la
pianificazione paesaggistica divenuta obbligatoria ed estesa anche al nuovo
modello ibrido del piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione
dei valori paesaggistici. L’interesse ambientale costituisce il punto di
riferimento per una diversa concezione dell’oggetto e della tecnica di tutela:
l’interesse estetico si trasforma nell’interesse alla preservazione ambientale;
la conservazione non riguarda più singoli beni, ma aree e zone; la tutela si
proietta sul piano.
Si è, poco sopra, detto del merito che la Convenzione europea ha avuto affinché
il legislatore italiano definisse giuridicamente, all’art. 131 del Codice, il
concetto di Paesaggio, provvedendo così all’attuazione dell’art. 5 della
Convenzione europea che impegna le Parti firmatarie a “riconoscere
giuridicamente il paesaggio”.
Ma nel Codice con il concetto
giuridico di «paesaggio» continua a convivere quello di «bene paesaggistico».
La parte terza del Codice, infatti, è riservata ai beni paesaggistici –
successivamente definiti dagli artt. 134 e 136 – che assieme ai beni culturali,
disciplinati nella parte seconda del Codice, costituiscono il patrimonio
culturale (art. 2). L’innesto dei beni paesaggistici nell’alveo del patrimonio
culturale spiega la specificità di tali beni e la giustificazione di un regime
giuridico differenziato, incentrato sul vincolo, da taluni[5]
spiegato in ragione della “eccezione del patrimonio culturale”.
Dunque il Codice postula una duplicità terminologica-concettuale tra
paesaggio e beni paesaggistici ponendo tra essi un equilibrio ed una mutualità
giuridica dei quali non può non tenersi conto. Così come non può non tenersi
conto della logica sottesa ai due
consequenziali strumenti di tutela costituiti dalla pianificazione paesistica
(riferita all’intero territorio regionale) e dal vincolo (radicato sulla
individuazione del bene paesaggistico).
Come è stato opportunamente evidenziato in dottrina[6], il
profilo della tutela paesaggistica non consente di confondere tra di loro i
distinti piani della rilevanza e della efficacia giuridica. Occorre dunque distinguere
tra rilevanza giuridica paesaggistica dell’intero territorio regionale (paesaggio), ed ambito della efficacia
giuridica del regime vincolistico (beni
paesaggistici). Detto in altri termini: “il paesaggio rappresenta il
contesto (continuo e integrale) di rilevanza giuridica del bene
paesaggistico, mentre il bene paesaggistico rappresenta la dimensione spaziale
dell’efficacia delle misure di tutela”.
Il Codice sembra conformarsi a questa impostazione considerando l’intero
territorio regionale come “rilevante” ai fini paesaggistici attraverso la nuova
pianificazione paesaggistica (cfr. artt. 135 e 143 Codice) – superando così
definitivamente la tutela “atomistica” o comunque separata dal più complessivo
contesto territoriale degli immobili di notevole interesse pubblico – in
armonia con il senso della Convenzione europea sul paesaggio[7]. Ma,
al contempo, mantiene la tutela vincolistica dei beni paesaggistici. Anzi la rafforza. Come
risulta dalla novella del Codice del 2008 che ha, attraverso l’abrogazione dei
commi 1 e 2 dell’art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977 (art. 5 del d.lgs. del 2008
di modifica del Codice), restituito al Ministero per i beni e le attività
culturali, dunque allo Stato, il potere di adottare la dichiarazione di
notevole interesse pubblico, in precedenza riservato alle regioni.
Occorre a questo punto chiedersi se un sistema di tutela fondato sul
vincolo di singole parti di territorio dichiarate di notevole interesse
pubblico paesaggistico sia o meno conforme alla Convenzione europea.
La Convenzione, al riguardo, come affermato sin dal preambolo e poi, ma
non solo, agli artt. 1, 3, 5, sembra ruotare intorno agli assi della
“salvaguardia”, della “gestione” e della “pianificazione” del paesaggio.
Attraverso i concetti di salvaguardia – che ai sensi dell’art. art. 1
lett. c) ricomprende «le azioni di conservazione e di mantenimento degli
aspetti significativi o caratteristici di un paesaggio, giustificate dal suo
valore di patrimonio derivante dalla sua configurazione naturale e/o dal tipo d’intervento
umano» - e di identificazione dei “propri paesaggi, sull’insieme del proprio
territorio” - richiamato, dall’art. 6
C , comma 1, lett. a i)) tra le “misure specifiche” - è
possibile concludere che il regime vincolistico previsto dal nostro ordinamento
in materia di tutela del paesaggio non è in contrasto con le previsioni della
Convenzione europea. Il che sembra avvalorato dalla disposizione di chiusura di
cui all’art. 6 E che lascia libertà ad ogni Parte circa gli “strumenti di
intervento volti alla salvaguardia, alla gestione e/o alla pianificazione dei
paesaggi”.
Attraverso il riconoscimento giuridico del paesaggio e la consequenziale
rilevanza del territorio ai fini paesaggistici, tramonta come si è già detto,
in armonia con la Convenzione europea, il sistema di tutela fondato
esclusivamente sul vincolo di singole parti del territorio che ha da sempre
caratterizzato la tutela paesaggistica del nostro paese: dalla legge n. 411 del
1905, di tutela della pineta di Ravenna, al 1922, al 1939 e fino alla legge
Galasso del 1985. A
quasi trent’anni di distanza si concretizzano così le intuizioni del Predieri[8] che
nella voce “paesaggio” dell’Enciclopedia del Diritto parlò per la prima volta
di paesaggio come “forma del territorio” superando così la questione dei
vincoli solo su particolari beni riconosciuti per il loro valore intrinseco
come “beni paesaggistici” oggetto di specifica ed isolata tutela, per estendere
la “rilevanza paesaggistica” a tutto il territorio.
La scelta legislativa, operata nel Codice, pare dunque riassumibile
sottolineando, da un lato, che i singoli beni rilevano in quanto parti
costitutive del paesaggio, e, dall’altro, che la preservazione degli stessi ha
importanza in quanto costituisce tutela del paesaggio stesso. Con ciò la salvaguardia
del singolo bene rimane un’esigenza fondamentale, tanto perché il paesaggio e i
singoli valori sono inscindibili (al punto che il primo sparisce o si modifica
se ne vengono estinti o modificati i secondi), quanto perché la tutela del
singolo bene è, per definizione, tutela del paesaggio.
Coerentemente, il Codice, sancendo la rilevanza giuridica del territorio
ai fini paesaggistici, afferma la centralità della pianificazione
paesaggistica, vista come tutela dinamica del paesaggio.
A riprova di ciò, appare dunque opportuno soffermarsi sugli aspetti più
significativi dei piani paesaggistici introdotti dal Codice, e dalle sue
successive modifiche, in quanto, come si è affermato in dottrina, la nuova
pianificazione paesaggistica costituisce una vera e propria “rivoluzione
copernicana”[9] in materia di tutela del
paesaggio. Infatti, volendo proseguire sulla scia della suggestiva metafora
dottrinaria, è intorno all’asse del piano paesaggistico che ruota tutto il
nuovo sistema sul paesaggio. Più in particolare, i contenuti del piano
paesaggistico sono rilevanti rispetto:
a)
ai vincoli paesistici;
b)
all’autorizzazione paesaggistica;
c)
alla natura (vincolante o obbligatoria) del parere del
soprintendentente in sede di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica;
d)
alla sovraordinazione ai piani, programmi, progetti ad
incidenza territoriale, compresi i piani delle aree naturali protette.
Ciascuno dei punti merita un approfondimento.
Sub a): rispetto ai vincoli paesistici il piano ha la quadruplice
funzione: 1) di localizzarli sul territorio regionale; 2) di porli ex novo. Si tratta dei così detti
“vincoli del terzo tipo di fonte pianificatoria”, ora previsti dai nuovi[10]
artt. 134, comma 1, lett. c) e 143, comma 1, lett. d). È questa la disposizione
chiave per comprendere la centralità della nuova pianificazione paesaggistica e
il radicale mutamento di rapporto tra vincolo e piano, in quanto ora è il piano
a creare il vincolo[11].
Tale tipologia di vincoli si aggiunge ai tradizionali vincoli provvedimentali
singolari (art. 143, comma 1, lett. b)) e a quelli ex lege (art. 143, comma 1, lett. c))[12]; 3) di dar loro un contenuto precettivo, se
ne sono privi nei casi di vincoli ex
art. 142 (“Aree tutelate per legge”) o ante
2004. Con tale previsione il legislatore consente di «vestire», attraverso
contenuti prescrittivi, i vincoli sinora «nudi». Infatti, da sempre, e fino al
2004, la dichiarazione di notevole interesse pubblico si limitava alla
individuazione territoriale dell’area vincolata e all’assoggettamento delle
trasformazioni a previa autorizzazione. La progressiva sostituzione dei vincoli
«nudi» con quelli «vestiti» fa sì che il provvedimento di vincolo non sia più
meramente procedurale ma dovrà contenere una disciplina di merito ordinata alla
tutela e alla valorizzazione (limitatamente ai beni ex art. 142 Codice) di quegli specifici beni. Ciò comporterà
inevitabilmente una drastica riduzione, rispetto al passato, della
discrezionalità dell’amministrazione procedente[13] in
sede di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica; 4) di inserire
armonicamente nel tessuto pianificatorio le prescrizioni ove si tratti di
vincoli così detti «vestiti» (art. 140, comma 2, Codice). Anche ciò limiterà
significativamente la discrezionalità dei pianificatori.
Sub b): è rimessa ad una scelta del pianificatore, conformemente a quanto
previsto dall’art. 143, commi 4, 5, 6 e 7 del Codice, la individuazione delle
aree nelle quali gli interventi modificativi non sono subordinati al rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica;
Sub c): ai sensi dell’art. 146, comma 5, del Codice, il parere della
sovrintendenza sull’istanza di autorizzazione paesaggistica è sempre
vincolante. Assume natura obbligatoria, e non vincolante, a due condizioni: 1)
all’esito dell’approvazione delle prescrizioni d’uso dei beni paesaggistici; 2)
che vi sia stata la positiva verifica, da parte del Ministero per i beni e le
attività culturali su richiesta della Regione, circa l’adeguamento al piano
degli strumenti urbanistici;
Sub d): secondo quanto previsto dall’art. 145, comma 3, del Codice, le
previsioni del piano paesaggistico sono sovraordinate rispetto agli altri
piani, programmi, progetti, ora anche quelli di sviluppo economico, compresi i
piani delle aree naturali protette relativamente ai soli profili di tutela del
paesaggio.
Dall’analisi dei contenuti del piano paesaggistico e, in particolare,
dell’art. 143 del Codice che lo disciplina, non può non convenirsi con chi[14] ha
opportunamente rilevato come da esso “emerge che la considerazione integrale
del territorio regionale fatta dal piano si articola al suo interno in
previsioni di efficacia paesaggistica, presupponenti il vincolo paesaggistico,
e in previsioni di valorizzazione, estensibili anche alla restante parte del
territorio che, pur non essendo propriamente parlando bene paesaggistico,
costituisce nondimeno a tutti gli effetti paesaggio giuridicamente rilevante
come sfondo di riferimento e di inserimento de beni paesaggistici”.
Non si può non tenere conto del fatto che nel sistema giuridico italiano
la pianificazione paesaggistica può alternativamente realizzarsi, sin dalla
legge Galasso, o attraverso il piano paesaggistico “puro” ovvero attraverso il
piano ibrido urbanistico territoriale con speciale considerazione dei valori
paesaggistici. In quest’ultimo si ha il cumulo tra poteri urbanistici e poteri
paesaggistici.
È dunque in sede di pianificazione che si assiste al maggior
avvicinamento tra le costituzionalmente distinte materie del paesaggio e del
governo del territorio (art. 117 Cost.).
La Corte costituzionale, con la recente sentenza n. 367/2007, è stata
nuovamente chiamata a pronunciarsi sui rapporti tra paesaggio e governo del
territorio. La Corte in tale decisione ha affermato che “la tutela ambientale e
paesaggistica gravando su un bene complesso ed unitario, considerato dalla
giurisprudenza costituzionale un valore primario ed assoluto (sentt. nn.
151/1986, 641/1987, 182 e 183/2006), e rientrando nella competenza esclusiva
dello Stato, precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri
interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in
materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e
ambientali. In sostanza vengono a trovarsi di fronte due tipi di interessi
pubblici diversi: quello alla conservazione del paesaggio, affidato allo Stato,
e quello alla fruizione del territorio, affidato anche alle Regioni”.
Conseguentemente, e in armonia con la decisione della Corte
costituzionale appena annotata, la riforma del Codice del 2008 ha meglio definito, rectius chiarito, la distinzione tra la
disciplina paesaggistica – che non può che riguardare esclusivamente i beni
paesaggistici – rispetto alla disciplina urbanistica relativa a tutto il
restante territorio. Con i consequenziali rapporti, e riparto di competenze,
tra Stato (Ministero per i Beni e le Attività culturali, Sovrintendenze) e
Regione nell’ambito della pianificazione paesaggistica.
Ci si riferisce, in particolare, alle nuove formulazioni:
a)
dell’art. 135, comma 1, terzo periodo, laddove prevede
che “l’elaborazione dei piani paesaggistici avviene congiuntamente tra
Ministero e Regioni, limitatamente ai beni paesaggistici di cui all’art.
143, comma 1, lettere b), c) e d), nelle forme previste dal medesimo art. 143” ;
b)
dell’art. 143, comma 2, secondo cui il piano
paesaggistico – non approvato dalla regione entro il termine indicato
dall’accordo con il Ministero per i Beni e le Attività culturali e il Ministero
dell’Ambiente per la definizione delle
modalità di elaborazione congiunta dei piani – è approvato in via sostitutiva
con decreto dei Ministro dei Beni culturali, sentito quello dell’Ambiente, “limitatamente
ai beni paesaggistici di cui alle lettere b), c) e d) del comma 1” ;
c)
dell’art. 143, comma 3, il quale prevede che il parere
del soprintendente nel procedimento di rilascio dell’autorizzazione
paesaggistica è sempre vincolante (con le eccezioni di cui al successivo comma
4 e art. 145, comma 5) “in relazione agli interventi da eseguirsi nell’ambito
dei beni paesaggistici di cui alle lettere b), c) e d) del comma 1” ;
Anche alla luce di tali ultime considerazioni – che evidenziano la
distinzione tra disciplina paesaggistica, concernente i beni paesaggistici, e
disciplina urbanistica, concernente il restante territorio regionale – non può
che giungersi alla conclusione di non ritenere compatibile con il sistema
giuridico italiano l’equazione paesaggio- territorio che la Convenzione europea
postula all’art. 2 laddove, nel definire il proprio ambito di applicazione, si
riferisce a tutto il territorio, riguardando gli “spazi naturali, rurali,
urbani e periurbani”.
Non può infatti non concordarsi con quella parte della dottrina[15] la
quale – non ritenendo applicabile nell’ordinamento giuridico italiano il
sillogismo, pure affermato da altri Autori[16],
secondo cui ai sensi della Convenzione europea «tutto il territorio è
paesaggio» - evidenzia come “in campo giuridico dire che tutto è paesaggio
significa negare un’autonoma ragion d’essere alla nozione giuridica di
paesaggio, poiché si elude la possibilità stessa di un regime speciale dei
beni, che è e resta il proprium della
materia della tutela del paesaggio. Dire che «tutto è paesaggio» va bene, ma
solo su un piano naturalistico, descrittivo, pregiuridico; comunque fuori dal
diritto”.
Vi è poi un’altra ragione per la quale non è possibile mutuare nel nostro
ordinamento l’equazione paesaggio-territorio. Infatti, dire che tutto il
territorio è paesaggio conduce all’equazione paesaggio-urbanistica e,
conseguentemente, sotto il profilo vincolistico, a due inconciliabili
conclusioni: a) tutti i vincoli sul territorio sono di natura paesistica;
ovvero b) non ci sono vincoli paesistici ma solo vincoli urbanistici.
Entrambe tali conclusioni sono, anzitutto, sconfessate da quella
consolidata giurisprudenza costituzionale e amministrativa che ha, nel tempo,
delineato i distinti caratteri e le differenti nature dei due vincoli in esame.
Basti dire in questa sede[17], che
il vincolo paesistico, a differenza di quello urbanistico, ha natura
dichiarativa e non costitutiva e secondariamente non è indennizzabile in quanto
non può parlarsi di compressione al contenuto del diritto di proprietà poiché
tale diritto “è nato con il corrispondente limite e con quel limite vive”[18].
L’insostenibilità degli assunti sopra esposti appare ben colta e
sintetizzata da quell’indirizzo del Consiglio di Stato, secondo cui sono
ascrivibili tra i vincoli ricognitivi unicamente quelli costituiti
“autonomamente in virtù di leggi speciali, e soggetti a peculiari discipline
(vincoli militari, idrogeologici, forestali, di parco, paesistici)”; quelli,
invece, “che sorgono direttamente ed originariamente per effetto della
previsione da parte dello strumento urbanistico” debbono qualificarsi vincoli
costitutivi, la cui natura giuridica è quella di “prescrizioni aventi natura
squisitamente urbanistica”[19].
Nel solco dell’esigenza di sgombrare il campo da equivoche
sovrapposizioni tra urbanistica e paesaggio, appare opportuno evidenziare in
questa sede come il legislatore del 2008 abbia opportunamente eliminato i così
detti “vincoli urbanistici con funzioni paesaggistiche”, i quali, come colto in
dottrina[20], presentavano seri
problemi applicativi e di legittimità. Fino alla riforma del 2008, infatti,
l’art. 145, comma 4, consentiva agli enti territoriali, in sede di conformazioni
e adeguamento degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica alle
previsioni del piano paesaggistico, di introdurre “le ulteriori previsioni
conformative (…) utili ad assicurare l’ottimale salvaguardia dei valori
paesaggistici individuati dai piani”.
Le Regioni italiane hanno sempre difeso l’equazione paesaggio-territorio
enunciata nella Convenzione europea, al fine di rivendicare propri poteri in
materia di paesaggio. In particolare, nel parere sullo schema di decreto
legislativo sulla prima riforma della parte III del Codice – poi d.lgs. n.
157/2006, formulato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome
del 26 gennaio 2006 – la “concezione integrale del paesaggio”, posta dalla
Convenzione europea, è stata il presupposto per sostenere: a) che la
pianificazione paesaggistica, trasferita alle Regioni fin dal d.P.R. n. 8/1972,
rientra nei poteri propri delle Regioni; b) che la disciplina legislativa e le
funzioni amministrative siano tra loro interdipendenti per cui il fatto che i
compiti connessi alla pianificazione paesaggistica siano stati trasferiti alle
Regioni sin dal 1972 costituirebbe un limite all’esercizio della potestà
normativa dello Stato. La richiamata sentenza n. 367/2007 della Corte
costituzionale ci induce a ritenere non corretti tali assunti.
Non può tuttavia non osservarsi come un distorto concetto giuridico di
paesaggio – considerato come uno dei profili del governo del territorio, con
conseguente equivalenza tra l’interesse pubblico preordinato alla tutela del
paesaggio e interesse pubblico finalizzato al governo del territorio – continui
ad essere alla base di alcuni recenti ricorsi di legittimità costituzionale
contro leggi regionali promossi dallo Stato[21].
La innegabile asimmetria tra la Convenzione europea, secondo la quale il
paesaggio è tutto il territorio e di conseguenza costituzionalmente attratto
nella materia del governo del territorio,
e quelle del nostro ordinamento, che si riferisce a limitate e definite
categorie di beni (artt. 134, 136 del Codice) e, dunque, a porzioni
territorialmente limitate, impone all’interprete una delicata attività
ermeneutica - come d’altra parte richiede, in generale, il diritto
internazionale di fonte pattizia - di adeguamento ai principi e alla tradizione
giuridica del diritto interno. A tale proposito deve evidenziarsi come il
legislatore del 2008 abbia opportunamente novellato l’art. 132 del Codice
(“Convenzioni internazionali”) aggiungendo un secondo comma che, ribadendo un
ordine tra le fonti, sembra sgombrare il campo da qualsiasi dubbio circa la
fonte del diritto prevalente in tema di ripartizione delle competenze in
materia di paesaggio. È infatti detto che essa “è stabilita in conformità dei
principi costituzionali, anche con riguardo all’applicazione della Convenzione
europea sul paesaggio”.
In conclusione, e riprendendo il racconto di Senofonte con il quale si è
iniziato questo lavoro, possiamo dire che la Convenzione europea “persuade”
laddove adeguatamente calata nella tradizione giuridica italiana in materia di
tutela del paesaggio di cui è espressione il Codice. Il quale, a sua volta, rappresenta una
adeguata traduzione in diritto italiano dei principi della Convenzione.
Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio costituisce, infatti, specie
dopo la novella del 2008, un condivisibile punto di equilibrio tra i distinti
concetti giuridici di “Paesaggio” e “Bene paesaggistico” e, consequenzialmente,
tra quelli di “pianificazione paesaggistica” (ex artt. 135 e 143 Codice) e
“vincolo paesaggistico”.
Conclusasi la fase delle riforme normative, due in soli quattro anni, la
prossima impegnativa sfida per la tutela del paesaggio italiano dovrà compiersi
sul terreno della elaborazione di una adeguata, razionale, condivisa e
lungimirante pianificazione paesaggistica. Una pianificazione da compiersi
secondo i parametri del nuovo art. 143 del Codice, il quale,
significativamente, affida (comma 1, lett. c)) al piano anche il compito di
individuare “ulteriori contesti (diversi dai beni paesaggistici di cui all’art.
136) da sottoporre a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione”. Il
che significa, solo per fare un esempio fra i tanti, che il piano dovrà tenere
conto anche dei siti della Rete Natura 2000 (SIC, ZPS, ZSC) i quali, pur non
essendo strictu sensu beni
paesaggistici, dovranno essere adeguatamente considerati in quanto incidono nel
contesto territoriale (continuo ed integrale) di “rilevanza giuridica del bene
paesaggistico” cioè il “paesaggio”.
Il piano paesaggistico diverrà dunque sempre più il luogo di elezione nel
quale comporre i diversi e spesso confliggenti interessi: paesaggio, ambiente,
sviluppo economico, energia, infrastrutture, ecc. Emblematico in tal senso è il
settore dell’energia eolica vero crocevia tra la tutela del paesaggio, dell’ambiente
(protocollo di Kyoto), e attività produttive[22].
Il piano paesaggistico, inoltre, dovrà sempre più rappresentare, mutuando
l’espressione di M.S. Giannini nella sua voce “Pianificazione”
dell’Enciclopedia del diritto, una “pianificazione di risultato”. Una
pianificazione cioè che non si limiti a prescrivere e dunque ad esaurirsi nella
sua funzione conformatrice ma che si presenti come uno strumento di
pianificazione a formazione progressiva che estenda i suoi effetti e la sua
efficacia alle successive azioni e atti delle pubbliche amministrazioni nonché
dei privati coinvolti. Non a caso, nella riforma del Codice del 2008 è stato
opportunamente affermato il principio secondo il quale “le previsioni dei piani
paesaggistici (di cui agli artt. 143 e 156 del Codice) non sono derogabili da
parte dei piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo
economico” (art. 145, comma 3, Codice).
Solo procedendo in questo modo potrà concretizzarsi – come auspicato
ripetutamente dalla Corte costituzionale – una “visione integrata del
territorio” che è indispensabile per una buona pianificazione urbanistica e,
nel contempo, una buona pianificazione e tutela paesaggistica, al fine di
conseguire un paesaggio di buona qualità.
Ma tale risultato lo si potrà realizzare solo se, accanto ai concetti di
“Paesaggio” e “Piano paesaggistico” convivano, in un rapporto di equilibrio e
sinergia, quelli di “Bene paesaggistico” e di “Vincolo”. E ciò in quanto, come
è stato affermato in dottrina, “la tutela dinamica del piano, aperta alla
revisione, alla deroga, alla variante semplificata, allo stralcio di aree, alla
sostanziale rinegoziazione continua delle scelte, è insufficiente ad assolvere
alla funzione di tutela del patrimonio paesaggistico, che implica (invece)
necessariamente forti ed ineliminabili elementi strutturanti di tutela
selettiva e statica (vincoli)”[23].
D’altra parte, una tutela che prescindesse dal vincolo, specie se posto
da un livello amministrativo nazionale, renderebbe assai difficoltoso il
compimento di scelte lungimiranti. Ad esempio, la scelta di arrestare il
consumo di suolo – quando oggi in Italia lo sfruttamento del territorio
costituisce la principale voce di finanziamento degli enti locali (Imposta
Comunale sugli Immobili, oneri di urbanizzazione ecc.) – in una logica che permetta di avere un domani
intatta una risorsa che consenta qualità, crescita economica, ben difficilmente
potrà essere assunta a livello locale.
Appare dunque regressiva l’idea secondo cui il paesaggio appartenga alle
popolazioni che lo abitano[24] e
non sia, come vuole invece l’art. 9 Cost., un valore culturale e identitario
dell’intera Nazione e come tale oggetto di tutela, in un rapporto di
cooperazione, tra le diverse componenti della Repubblica.
[1] Memorabili, I 2,40-46
[2]
Accordo concluso il 19 aprile 2001 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 114
del 18 maggio 2001.
[3] La
novella al Codice del 2008
ha correttamente rubricato l’art. 131 “Paesaggio” ed
eliminato la limitazione a “parti del territorio”.
[4]
Conformemente all’art. 2 della Convenzione europea costituisce paesaggio anche
quello degradato (cfr. art. 135, comma 4, lett. c).
[5] G. Severini, in M.A.
Sandulli (a cura di), Il Codice dei Beni
Culturali e del Paesaggio, Milano, Giuffrè, 2006.
[6] P.
Carpentieri, Regime dei Vincoli e
Convenzione Europea, in Gian Franco Cartei (a cura di), Convenzione europea del paesaggio e governo
del territorio, Il Mulino, 2007.
[7] R.
Priore in, La Convenzione europea del
paesaggio: matrici politico-culturali e itinerari applicativi, in Convenzione europea del paesaggio e governo
del territorio, cit. prima osserva come “i paesaggi considerati di
eccezionale valore sotto il profilo esterico-culturale potranno continuare, con
il sostegno delle norme della Convenzione, ad essere opportunamente salvaguardati
tramite i vincoli che gli Stati vorranno stabilire”. E poco oltre viene
affermato dall’Autore come “si ritengano superate dalla Convenzione quelle
concezioni dottrinarie secondo le quali, sotto il profilo paesaggistico,
possono godere di una speciale tutela giuridica soltanto quelle aree che
presentano un interesse (culturale) eccezionale (…)”.
[8] A.
Predieri, Paesaggio, in Enciclopedia del diritto, vol. XXXI,
Milano, Giuffrè 1981; Id., Significato
della norma costituzionale sulla tutela del paesaggio, in Urbanistica, tutela del paesaggio,
espropriazione, Milano, 1969.
[9] P.
Urbani, La costruzione del piano
paesaggistico, in G. Cugurra, E. Ferrari, G. Pagliari (a cura di), Urbanistica e paesaggio, Napoli, 2006.
[10] Per comodità espositiva i
riferimenti normativi sono compiuti in relazione al testo del Codice come
risultante a seguito della novella del 2008.
[11] Come
si è osservato in dottrina - (P. Carpentieri, Regime dei Vincoli e Convenzione Europea, cit.) - fino al Codice
del 2004 la giurisprudenza amministrativa ha sempre impostato il rapporto tra
vincolo e piano paesaggistico sull’idea della priorità logico-giuridica e della
preminenza gerarchica del vincolo rispetto al piano affermando che il vincolo
costituisce il presupposto del piano sia sotto il profilo diacronico e
procedimentale, che dal punto di vista gerarchico e sostanziale e che
l’adozione del piano attiene ad una fase successiva che presuppone la
dichiarazione di interesse paesaggistico, la quale è quindi destinata a
permanere, risultando ulteriormente disciplinata l’operatività del vincolo
paesaggistico esistente, sicchè il piano è presentato come strumento di
attuazione e specificazione del contenuto precettivo del vincolo. Ex multis, Cons. Stato, Sez. II, parere
n. 548 del 20 maggio 1998; Sez. VI, 19 giugno 2001, n. 3242; Sez. IV, luglio
2003, n. 4531; Sez. VI, 22 agosto 2003, n. 4766.
[12] In
dottrina, in particolare G.F. Cartei, La
disciplina dei vincoli paesaggistici: regime dei beni ed esercizio della
funzione amministrativa, in «Riv. giur. ed.», II, 2006; Id, in G. Cugurra,
E. Ferrari, G. Pagliari (a cura di), cit., si sono sollevati dubbi circa la
legittimità costituzionale della formulazione anteriore alla novella del Codice
del 2008 in
quanto, si affermava, non dettava alcun criterio per l’individuazione e la
disciplina d’uso dei beni paesaggistici creati dal piano. Il che appariva in
chiaro contrasto con l’art. 42 Cost. che, invece, impone una previa
determinazione legislativa dei modi di godimento e dei limiti alla proprietà
privata. Come si è detto tali dubbi devono ritenersi superati attraverso il
nuovo art. 134, comma 1, lett. c) che esplicitamente rinvia all’art. 136 per la
determinazione dei criteri di individuazione di tali beni.
[13] Le
Regioni hanno generalmente delegato i Comuni al rilascio dell’autorizzazione
paesaggistica. A tale proposito merita rinviare alla nuova formulazione del
2008 dell’art. 146, comma 6, con la quale si è tentato di mitigare gli effetti
di un perverso meccanismo che vede una medesima autorità amministrativa
rilasciare sia il titolo abilitativo edilizio sia l’autorizzazione
paesaggistica.
[14] P. Carpentieri, Regime dei Vincoli e Convenzione Europea,
cit.
[15] P.
Carpentieri, Regime dei Vincoli e
Convenzione Europea, cit.
[16] R.
Priore, Verso l’applicazione della Convenzione
europea del paesaggio in Italia, in «Aedon», rivista di arti e diritto on
line, n. 3, 2005, www.aedon.mulino.it; dello stesso Autore, La Convenzione europea del paesaggio:
matrici politico-culturali e itinerari applicativi, in Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, cit.
[17] Per
approfondimenti sul tema si rinvia a G.F. Cartei, La disciplina dei vincoli paesaggistici: regime dei beni ed esercizio
della funzione amministrativa, cit.; Id, in G. Cugurra, E. Ferrari, G.
Pagliari (a cura di), cit.
[18] Corte cost. sent. n. 56/1968, in Giur. cost. 1968,
860 ss.
[19] Cons. Stato, Sez. IV, 25
settembre 2002, n. 4907.
[20] G. F. Cartei, La disciplina dei vincoli paesaggistici:
regime dei beni ed esercizio della funzione amministrativa, cit.
[21] Cfr.
ricorso n. 5, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 21-2-2007 (Prima serie
speciale n. 8), con cui il Presidente del Consiglio ricorre contro la legge
della Regione Calabria 24 novembre 2006, n. 14, art. 2, comma 1, ottavo
capoverso, e art. 4, comma 1, tredicesimo capoverso. Interessante notare come
la legge regionale de qua anziché
riferirsi alla nozione di paesaggio ex
art. 131 del Codice scelga di recepire la Convenzione europea del paesaggio;
ricorso n. 9, pubblicato sulla gazzetta Ufficiale del 12-3-2008 (Prima serie
speciale n. 12), con cui il presidente del Consiglio ricorre contro la legge
della Regione Basilicata 26 novembre 2007, n. 21, art. 21.
[22] Non
è questa la sede per approfondire la tematica che richiederebbe una adeguata
attenzione. Si rinvia a: F. De Leonardis, Paesaggio
ed attività produttive: criteri di bilanciamento tra paesaggio ed energia
eolica, in G. Cugurra, E. Ferrari, G. Pagliari (a cura di), Urbanistica e paesaggio, Napoli, 2006; e
all’articolo di M. Pirani, Il vento
soffia miliardi a scapito del paesaggio, su La Repubblica del 17-3-2008 nel
quale si evidenzia la mancanza di un piano energetico nazionale e “la fame di
soldi dei piccoli comuni abbindolati dalle sovvenzioni e, ancor più, i profitti
vertiginosi delle industrie produttrici degli impianti eolici”
[23] P.
Carpentieri, Regime dei Vincoli e
Convenzione Europea, cit.
[24] Non
a caso l’art. 118 Cost. individua nei principi di adeguatezza e
differenziazione i contrappesi alla sussidiarietà verticale.
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